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Le cave di marmo di Carrara diventano tutte pubbliche

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alpi apuaneLe cave di marmo diventano tutte pubbliche e di proprietà del comune di Carrara, che le potrà concedere in concessione ai privati per sette anni, poi prorogabili fino a venticinque anni. Dopodiché una cava potrà essere data in concessione solo attraverso gara pubblica.
Lo prevede una legge, la numero 356, approvata dal consiglio regionale, con il voto contrario di Forza Italia e del Ncd e l’astensione dell’Udc e dei Fratelli d’Italia. In un’epoca in cui il verso corrente è quello delle privatizzazioni, la pubblicizzazione di beni finora considerati privati fa discutere e accende discussioni antiche. Così mentre Nicola Nascosti (Fi) tira in ballo «un improvviso ritorno dell’ideologismo comunista» e l’alfaniano radicale Marco Taradash grida all’esproprio, il presidente della giunta Enrico Rossi esulta («La legge avrà «un effetto notevole anche sul piano paesaggistico») e la maggioranza parla di un atto quasi rivoluzionario.

Parole e evocazioni forti: comunismo, esproprio, rivoluzione. Eh sì perché la legge “ghigliottina” a suo modo una nobile, la duchessa Maria Teresa Cybo Malaspina che nel 1751 concesse con un editto ai privati un numero consistente di cave di marmo. Qualcuno, con una battuta, ha osservato che la rivoluzione francese è arrivata, con la legge 356, anche nel mondo del marmo, circa 90 cave, 12 mila addetti, compreso l’indotto. Delle cave esistenti, il 70% è pubblico e il 30% è privato. Ma solo le prime pagano ovviamente il canone di concessione, che equivale all’8% del valore medio dell’escavato. Da ora in poi le cave private dovranno pagare la concessione, e il comune di Carrara, che attualmente incassa 12 milioni di euro, aumenterà i propri introiti da marmo di 4 milioni.

Il nocciolo della legge che più sta a cuore al governatore Rossi è il legame tra il rinnovo delle concessioni e la filiera produttiva corta. «Vogliamo agevolare coloro che presentano progetti industriali di coltivazione che rispettino l’ambiente e il paesaggio e nel contempo producano lavoro. Oggi il problema numero uno delle Apuane è che il marmo viene imbarcato e se ne va in giro per il mondo mentre le aziende di lavorazione hanno chiuso in questi anni la saracinesca. Bisogna tornare a lavorare il marmo, non solo a escavarlo».
Così al loro scadere le concessioni saranno prorogate fino a 25 anni dall’approvazione della legge, alla condizione che i titolari delle cave, entro un biennio, assumino l’impegno con tanto di convenzione a lavorare almeno il 50 per cento del marmo estratto in loco, cioé nei territori delle Apuane. «La norma recepisce i principi delle normative europee e prevede un bonus per chi tutela la filiera corta e la buona occupazione», spiega Rosanna Pugnalini (Pd) presidente della commissione Sviluppo economico. Mentre i proprietari delle cave che si vedranno rinnovare la concessione otterranno un indennizzo a risarcimento degli investimenti fatti.

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