lunedì, Luglio 7, 2025
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L’orgoglio di una città che vuole urlare: ORA BASTA

zubbani al vo durataL’orgoglio di una città creativa è anche una serie di cartelli che, insieme, gridano una sola parola: basta.

Il limite di non ritorno è stato superato all’alba del 5 novembre: insieme ai malcostruiti argini, la furia del Carrione gonfiato a dismisura dai detriti frutto dell’escavazione selvaggia, ha spazzato via anche la pazienza.

E nello slogan simbolo della protesta, “Le cave ai carrarini” sta il nodo di tutto.

Perché in una città in ginocchio, in un “accampamento di minatori maltenuto” come appare drammaticamente ogni giorno di più, con i cartelli affittasi e vendesi che costellano tutto il territorio comunale dai monti al mare, non è più pensabile mantenere in vita i privilegi medievali che l’attuale amministrazione comunale continua a garantire a un gruppo di “non concessionari” del marmo. Da un lato, ottanta cave attive, di cui almeno quindici-venti con guadagni stratosferici, vanno avanti nell’escavazione sulla base di periodiche autorizzazioni, visto che le vecchie concessioni estensi sono di fatto illegittime perché cancellate dalla Corte costituzionale nel 95.

Non solo: la magistratura ha smascherato un vasto giro di “nero alle cave”, cioé una sottofatturazione sistematica nella compravendita dei blocchi; e si appresta a chiedere il rinvio a giudizio per amministratori e rappresentanti delle imprese per gli accordi sulle tariffe. Un “mondo di mezzo” alla carrarina che ha un solo risultato: dall’oro bianco, ai cittadini in ginocchio arrivano le briciole. I “valori medi” attribuiti al ribasso ai blocchi, lontani anni luce dalla realtà, agevolano ugualmente le già ricchissime famiglie dei baroni del marmo, e in più c’è la ciliegina dei cosiddetti beni estimati. Il Comune, alla faccia dei pareri richiesti e arrivati, continua a considerare private circa il 30% delle cave. In soldoni, quattro milioni di euro regalati ogni anno ai soliti noti. A corredo, la città sta anche per perdere la Cassa di Risparmio, con la Fondazione che dovrà accettare altre azioni Carige (già in portafoglio per disastrose operazioni del passato) per cedere il suo 10 per cento.

E così, ogni giorno che passa, il “core business” di questa amministrazione sembra sempre lo stesso: non fare, rigorosamente, niente. Non fare il regolamento degli agri marmiferi, non risolvere i beni estimati, non fondere le società partecipate, non riaprire il teatro Animosi, non trovare soluzioni per il Politeama, il Marble Hotel, l’ex Enichem, la Caravella, l’ex Mediterraneo e così via. Tutto immobile, aspettando – si dice – la Regione, o Roma per il porto turistico, o un miracolo per il water front. Niente, perché qualsiasi attivismo renderebbe più evidente la volontà di non toccare i privilegi del pianeta marmo.

E la città muore. Verlaine sembra aver scritto oggi i suoi versi: “Sono l’Impero alla fine della decadenza, che guarda passare i grandi Barbari bianchi”. Da una parte, una giunta e i partiti che la sostengono arroccati a difesa dei privilegi dei “Barbari” delle cave, dall’altra i cittadini sempre più insofferenti. Quei cartelli dicono molto più di uno slogan.

Quei cartelli urlano: ora basta.

Massimo Braglia
Leggi l’articolo: Il Tirreno

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