Tutte le cave sono dei carraresi: nero su bianco, lo scrive finalmente una legge regionale. È una giornata storica, da segnare in rosso sul calendario. Ma ora, bisogna dare presto un seguito normativo anche a livello comunale, attraverso il nuovo regolamento che traduca nella pratica l’impianto scaturito dalle assise fiorentine.
Troppe volte in passato siamo stati scottati: è rimasta lettera semi-morta la sentenza della Corte Costituzionale del 95 – quella delle concessioni onerose e temporanee (mai rilasciate tranne pochissime eccezioni) – per non parlare della precedente versione del testo unico regionale sulle cave (la 78-98), che prevedeva un contributo calcolato sul valore di vendita dei blocchi e non sul “valore medio” ampiamente sottostimato che si è inventato il Comune (ma che ora è transitato nel testo unico regionale).
Quindi: è doveroso esultare, perché finalmente dopo 264 anni vengono cancellati i cosiddetti beni estimati (la giunta Zubbani ha sempre sollecitato la “sponda fiorentina”) uno dei più grandi equivoci della storia economica; gli esperti giuridici che si sono occupati del famoso editto di Maria Teresa Cybo Malaspina del 1º febbraio hanno sempre oscillato fra due ipotesi: o la nobildonna non voleva assegnare beni in proprietà ma in concessione perpetua, oppure non poteva perché non era l’imperatrice. Fa un po’ sorridere sentire qualche imprenditore, magari anche invischiato nell’inchiesta sul nero alle cave, parlare di “esproprio”: gli unici ad essere stati espropriati per 264 anni sono stati i cittadini carraresi, non certo loro… Ma anche questa è una lettura parziale: perché in realtà, fino alla sentenza del 1995, che i beni estimati fossero o meno parte del patrimonio indisponibile del Comune, non cambiava quasi niente ai fini dell’erario cittadino. Perché le leggi estensi vigevano per tutti gli agri, visto che nonostante la legge mineraria (un regio decreto) del 1927 avesse detto chiaramente che i Comuni di Carrara e di Massa avevano la potestà di legiferare sui loro agri marmiferi per andare a una moderna tassazione, il Comune di Carrara ha aspettato fino al 1994 (e Massa non ce l’ha neppure adesso…) per darsi un regolamento, duramente avversato dagli stessi imprenditori e poi incardinato dalla Consulta. E quindi, fino al ’95, le concessioni rilasciate in base al diritto estense e non più valide consideravano gli agri marmiferi come terreni agricoli: e gli stessi che ora si stracciano le vesti perché temono l’esproprio, pagavano tutti insieme la bellezza di 16 milioni di lire l’anno di canone. Con i beni estimati pubblici, sarebbero stati 20 milioni di lire… Gli introiti derivavano dalla tassa marmi, tassa sull’esportazione pagata da centinaia di ditte, in contrasto con la normativa europea ma tenuta in vita fino al 2003. Insomma, troppe brutte sorprese. Ora il Comune non può fallire e siamo certi che il regolamento sarà all’altezza per dare certezze normative e garanzie a tutti, a partire possibilmente dai cittadini.
Agli imprenditori, in realtà, non brucia il fatto di dover pagare qualche euro di più di canone di concessione. Un paio di nomi. A Franchi e Soldati, a cui il valore medio è stato portato a 400 euro da 450, una trentina di euro in più la tonnellata non sono niente (la loro cava non è tutta bene estimato); idem per la 67 di Giorgio Vanelli (valore medio precipitato da 400 a 250 euro la tonnellata), che anziché 0 euro di canone pagherà 20 euro la tonnellata. Quisquilie: 4 milioni in più su un giro d’affari di 7-800 milioni… Il problema è che un giorno quelle cave andranno all’asta; e quando chiederanno l’indennizzo, questi signori saranno indennizzati sulla base dei valori medi che hanno difeso in tribunale in questi anni. Chi 200, chi (pochi) 400 euro la tonnellata. Roba da leccarsi i baffi per chi subentra: se anche l’indennizzo fosse un anno di produzione, 20mila tonnellate a 200 euro (e non i 3-4mila reali…) sono 4 milioni, il giro d’affari, per certe cave, di 3-4 mesi. A chi per anni ha sfruttato un bene pubblico lasciando le briciole, la nemesi potrebbe essere di doverle lasciare per poco. Ma il cammino sarà ancora lungo…